L’area dell’Isola presentava fin dall’epoca altomedievale diversi castra, di cui si hanno documentazione nelle fonti scritte, costruiti da gruppi di privati nei pressi di nuclei abitati preesistenti. Queste fortificazioni, assieme ad altre di proprietà pubbliche, sorgevano lungo il passaggio verso Lecco, con un interesse strategico di controllo del territorio.
La chiesa di Bergamo a partire dal XII secolo faceva importanti investimenti fondiari per inquadrare quelle aree periferiche che da sempre facevano capo alla città, finalizzato anche ad un controllo giurisdizionale del territorio nei confronti delle famiglie capitanali. Il territorio tra Adda e Brembo era stato sapientemente gestito dalle abili alleanze tra il vescovo Gerardo de Bonate, che aveva ottenuto da Federico I il riconoscimento ufficiale della giurisdizione di questa parte del territorio per i vescovi di Bergamo e di Cremona, a scapito dei milanesi e dei bresciani; tale privilegio era stato poi ribadito dal vescovo Guala nel 1183. Il riconoscimento del confine tra Bergamo e Milano sulle rive dell’Adda fu quindi una delle conquiste più importanti dei vescovi bergamaschi vista la presenza della giurisdizione ecclesiastica milanese che arrivava fino all’intera Val San Martino. Con l’arrivo del Comune di Bergamo, le conquiste già ottenute dai vescovi furono solide basi per avviare un consolidamento istituzione e un controllo completo del territorio. Il comune di Bergamo subordinò al proprio controllo le famiglie particolarmente influenti sul territorio specialmente nei punti di confine.
Con la fine dell’esistenza giuridica del Comune di Bergamo, lo statuto del 1331 il territorio era ordinato e controllato dai cives della piccola aristocrazia locale, che trasformarono il territorio con fortificazioni di tipo signorili: è forse a questo periodo che possono essere ricondotte le poche strutture fortificate rilevate sul campo. L’esistenza delle diverse strutture fortificate, sia dal punto di vista tipologico con i castelli, ma soprattutto con le torri signorili e le case torri, erano di fatto delle necessità strutturali per sopperire non solo ad un bisogno di difesa delle proprietà e quindi dei propri beni, ma anche di manifestazione del ruolo ormai raggiunto nella società. La dislocazione territoriale che si ha nel territorio di Villa d’Adda nasce certamente da una condizione geomorfologica del contesto, che porta a privilegiare i lievi rilevati presenti nel territorio, ma serviva anche a dimostrare la varietà di possedimenti che avevano le diverse famiglie, ciascuna delle quali cercava un proprio punto di azione e “promozione” del proprio ruolo.
A differenza di altri contesti limitrofi già meglio conosciuti, qui non si riscontra la costruzione di importanti edifici fortificati commissionati dalla famiglia più importante che viveva nel territorio, bensì sorsero diverse case fortificate abitate dalle famiglie nobili che si stabilirono nel borgo. Queste residenze, realizzate sempre nella modalità della casa o cascina fortificata, presentano un impianto costruttivo similare: sorgono tra XIII e XIV secolo, periodo in cui evidentemente avviene un boom economico nel paese, forse ormai indipendente da Bergamo.
Sebbene, infatti, le fonti ci parlino dell’esistenza di fortificati anche in epoche pregresse, tra le architetture ancora leggibili sul territorio non si riesce a risalire oltre alla fine del XII secolo, periodo oltre il quale difficilmente si conservano importanti costruiti in pietra, poiché le architetture dovevano avere tecniche differenti (presenza anche imponente di legno), che ne hanno penalizzato la conservazione fino ai giorni nostri.
Oltre ai fortificati, risultano di grande interesse i complessi di carattere civile che sorgono in paese: le architetture, dapprima nate nei pressi delle grandi torri (si pensi alla torre degli Olmi o a quella del borgo), sono caratterizzate da murature in pietra locale lavorata a scalpello in bozzette parallelepipede, di dimensioni eterogenee, ma apparecchiate in paramenti ordinati. Ciò significa che i corsi sono omogenei nello spesso, ma non necessariamente tra loro: il risultato è comunque quello di muri compatti, possenti e ben realizzati: questo lascia intendere una certa perizia nell’organizzazione del cantiere, dal passaggio dell’estrazione in cava, fino al prodotto finito che arriva sul luogo di lavoro. Il legante è malta di calce, che nelle murature particolarmente accurate risulta sottile nei letti e nei giunti sfalsati.
Interessante notare, poi, che spesso sugli edifici si aprono degli elementi architettonici gemelli, con associazione di porta e finestra con coronamento archivoltato, che potrebbero essere stati funzionali ad attività commerciali che si svolgevano sul fronte strada, senza necessariamente entrare in bottega. Questo lascia ipotizzare una ricca attività di commercio nel paese, specialmente nel XIII secolo, quindi in un periodo in cui il potere vescovile era ancora presente nel contado, ma già iniziavano ad emergere i lignaggi locali.
Quanto al linguaggio costruttivo è di alto livello: non si riconoscono materiali di importazione, che ragionevolmente potevano essere trafficati in paese, che comunque rivestiva un buon punto di attracco per i commerci che passavano dal territorio dell’Isola verso il lecchese, tuttavia si riscontra l’impiego di calcari locali. Il gusto esecutivo è abbastanza raffinato: spesso si registrano accortezze nelle lavorazioni a bugnato rustico dei conci, l’uso di mensole decorate per i portali a stampella, date incise sui coronamenti, chiavi dell’arco differenziate e molto allungate nel concio centrale. I modelli dovevano avere uno sguardo alla città, ove aperture di questo tipo erano già ampliamente diffuse in quel periodo.
La storia delle architetture, quindi, si intreccia fedelmente a quella di questo paese, che certamente in epoca medievale aveva un ruolo importante nel contesto dell’Isola, come recettore di stimoli e impulsi non solo dal circondario, ma anche dalla stessa città di Bergamo.